Iscriviti ai Feed Aggiungimi su Facebook Seguimi su Twitter Aggiungimi su Google+ Segui il Canale di Youtube Seguimi su Instagram

giovedì 26 febbraio 2015

un tipo tosto


Seconda elementare.

Hanno fatto un'ora di treno per venire agli Uffizi.

Li saluto, mi presento e gli faccio notare che la parola Uffizi è molto simile alla parola uffici.

Eh sì, gli Uffizi sono nati come uffici del governo mediceo. E oggi? Secondo voi avete fatto questo lungo viaggio in treno per vedere degli uffici? Non ce li avevate nel vostro paese? Dovevate per forza venire fino qua?

E da lì racconto della collezione, di queste opere, tante e preziose, che sono di tutti e per tutti, e di cui loro, giovani leve, devono prepararsi a difendere ad ogni costo ed a custodire come oggetti di riguardo.

Poi saliamo.

Passiamo attraverso un passaggio speciale perché siamo speciali.

Arriviamo al secondo piano, dove ci accolgono i padroni di casa: i Medici. I loro ritratti sono disposti lungo le pareti del vestibolo prima dell'entrata in Galleria.

Ne indico uno, "il più anziano" dico loro. Si chiamava Lorenzo il Magnifico. Ma guardategli il volto, vi pare magnifico?

Noooo!!!

E allora? Secondo voi, perchè lo chiamavano magnifico?

"Perchè era un tipo tosto!"

Sono piccoli ma hanno la capacità di lasciarmi sempre senza parole

lunedì 23 febbraio 2015

Un'opera ROCK!

Con questa classe, ci siamo incontrati a Palazzo Pitti di mattina presto, alle nove un quarto.

Ora che ci penso non è così presto. Per me oramai le nove del mattino sono "presto" perché, da quando ho il Pezzetto (mio figlio), i miei tempi per uscire si sono dilatati. Pur abitando appena a ridosso del centro storico, per essere alle nove a Pitti devo alzarmi alle sei in maniera da potermi preparare prima che lui si svegli. Se si sveglia sono fregata. E qui, in molti non capiscono (fra questi che non capiscono metto anche la sottoscritta prima di avere figli): "Chissà che potrà mai fare un bambino così piccolo?" Eh, già: pensate a provare a mettervi i pantaloni con un bambino urlante attaccato alle vostre gambe. 

Insomma, ci siamo incontrati "presto" nel cortile dell'Ammannati. 

Loro avevano diligentemente già depositato gli zaini al guardaroba e fatto uso della toilette.

Mi presento e sbaglio il nome della scuola: "si comincia bene", penso.

Erano all'incirca venticinque, fra maschi e femmine. Terza media. Spesso un'età ingrata: io stessa a quell'età non amavo molto le mostre e i musei. Ma già il fatto che avessero chiesto di visitare la mostra temporanea alla Galleria d'Arte Moderna, "Luci sul Novecento" mi ha fatto pensare che sarebbero stati un pubblico esigente, loro e i loro professori.

Saliamo. Sosta d'obbligo alla Sala Bianca. Poi si comincia.

Fattori, Signorini, Cabianca, Casorati, De Chirico, Soffici, Sironi, Bertelli, Messina. 

Tutte opere all'insegna del classicismo più puro: serenità delle forme e struttura architettonica dell'insieme.

"Qui c'è il richiamo al Quattrocento. Qui la solidità delle forme. Qui la plasticità dei volumi. Guardate questo David di Venanzo Crocetti. Guardategli il cappello! Non vi ricorda quello di Donatello?" E loro zitti, ascoltavano e osservavano. Due di loro scrivevano. "E questa donna di Giovanni Costetti? Non vedete che pare una Madonna del Beato Angelico a San Marco?" E loro zitti ad ascoltare. 

Ed ecco che arriviamo nella parte un po' "diversa" della mostra. 

Dove ci sono le opere acquisite dalla Galleria in seguito alla vittoria del Premio del Fiorino.

Mentre fino ad ora abbiamo visto armonia, solidità e serenità, ora incontriamo oggetti irriconoscibili che si aprono in un caleidoscopio di colori, contrasti di toni, figure che si frantumano e si ricompongono in forme taglienti, quasi minacciose.

Mi fermo davanti a quell'opera che più di tutte, forse, è eloquente non fosse altro che per quei contrasti fra nero, giallo e bianco.

"E questo?", domando.

Dal fondo del gruppo, si alza una voce: "QUESTA E' UN'OPERA ROCK!"

Ecco, io meglio non l'avrei saputo spiegare.


Vinicio Berti, Racconto nell'Utopia H3, 1963-64, Galleria d'arte moderna, Firenze

venerdì 20 febbraio 2015

E amore fu!

A dire il vero già lo conoscevo.


Di nome e di penna.


Al liceo, la professoressa di Storia dell'arte, andava a seguire le sue lezioni all'Università e ce le riproponeva in classe.


Io la ascoltavo incantata. E poi divoravo quelle pagine scritte con il di lui pugno che lei ci indicava come bibliografia. 



Quando mi iscrissi a Lettere, subito lo andai a ricercare. E lo trovai. E mi iscrissi immediatamente al suo corso. Storia dell'arte moderna e attribuzioni, di giovedì mattina.



Ricordo quell'aula buia. Le diapositive proiettate sullo schermo. 



All'inizio e alla fine della sequenza di diapositive, la foto di un cielo azzurro.



Ricordo quei "vergogna" severi e perentori, quando non riuscivamo ad attribuire l'opera.



Ricordo che tante cose non le capivo, ma mi rimanevano ugualmente impresse, come punti interrogativi sospesi. 



Spesso le ho capite dopo. Anche dopo anni mi ritornano in mente. Come premonizioni che, in quel momento, erano incomprensibili e indecifrabili per me, ancora ragazzina.



Ricordo che fu come una rivelazione: era quello che volevo fare. Era lui che volevo seguire. E così feci. Mi buttai in uno studio matto e disperatissimo che ancora non è finito, anche se mi sono laureata oramai da tempo.



Scegliere di laurearsi con Il Professore era molto più di compilare un piano di studi, dare gli esami e farsi mettere la firma. Era una scelta di vita. Ogni esame con lui (ed erano tre) richiedeva un anno di preparazione. I tempi della tesi si aggiravano sui tre anni.



E io lo scelsi. Ben consapevole. E tutti questi anni sono stati duri. 



Ci sono stati momenti di crisi, anche forte. 



Anche perché, a dire il vero, si tratta di un cammino lungo e in salita che non porta a una "sistemazione", a una "stabilità", come i miei mi hanno ripetuto più e più volte.



Lo so.



Ma poi ci si chiede. Che cosa è una sistemazione? Esiste una stabilità? E ammesso che queste due cose ci siano, ci rendono davvero più felici? Può darsi. Ma forse anche no.


E quindi ho intrapreso quel cammino. L'ho concluso. E ne ho intrapresi molti altri. Tutti, che da lì sono partiti. E allora, quando mi guardo indietro, non posso che ringraziarlo, il Professore. Perché mi ha segnata. Perché mi ha aperto un mondo. Perché se non lo avessi incontrato non sarei quella che sono ora, nel bene e nel male.

E quando si incontra qualcuno così non c'è che da ringraziare.







Premesse o promesse?


Eccomi!

Prima di tutto mi racconto: mi chiamo Fiammetta Michelacci, ho 3... anni, un marito sardo e un bambino nato un anno (circa) fa.


Abito a Firenze da anni oramai, anche se vengo da Pontassieve, una cittadina a Sud di Firenze. Sì proprio quella. Quella dove abitava il nostro premier prima di diventare premier.

Nella mia vita ho fatto (abbastanza) cose e visto (abbastanza) gente, ma una cosa più delle altre mi appassiona: l'arte.

Fin da piccola ho mostrato una spiccata predisposizione per le materie umanistiche. 

In molti hanno provato a darmi ripetizioni di matematica, ma io li ho sconfitti tutti tranne uno. Che una volta riuscì a farmi prendere addirittura 9 a un compito. Quando glielo dissi non ci voleva credere. Ricordo che mi parlava della x e della y come di comitive allegre che andavano a farsi delle scampagnate sui segni delle frazioni prima e sugli integrali poi...sarà per quello che riuscì a farmele capire?

Per ovvie ragioni mi iscrissi al liceo classico. Non avrei potuto affrontare una scuola con materie tecniche.

Disegno tecnico: per carità. Ricordo ancora che la mia insegnante alle medie mi metteva su una seggiolina accanto alla cattedra e mentre gli altri disegnavano, lei provava a ri-ri-ri-rispiegarmi le regole della prospettiva. Nulla. Sconfitta pure lei.

Esercitazioni pratiche: lasciamo perdere. Si ricorda quella volta che mi trafissi un dito con un chiodo mentre, sempre alle medie, dovevo costruire non so cosa in compensato.

Dunque, per la salute mia e di tutti, mi cimentai con il greco e con il latino e devo dire che ero bravina.

Poi, all'università spiazzai tutti con un colpo di coda. Fisica. No, no non Educazione Fisica (anche lì non è che proprio brillassi, a dire il vero). Proprio Fisica ad Arcetri. Posto bellissimo. 

Mio padre ingegnere, in lunghe dissertazioni, mi aveva convinto che la fisica mi avrebbe spiegato il senso profondo delle cose, più profondo anche della filosofia, di cui io ero appassionata.

"Ma babbo, lo sai, io di matematica non ci capisco nulla!", obiettavo.
"Ma, credimi, cara, la matematica in fisica è solo un dettaglio. La fisica è ben altro".

Insomma mi convinsi e mi iscrissi. E convenni con me stessa che la matematica a Fisica NON era un dettaglio.

Superati comunque i due esami di analisi (ho un marito barbaricino ma se mi ci metto sono più testarda io), capitolai su quello di "Esperimentazioni di fisica I" (prove pratiche di fisica, figuriamoci)!

Quando dissi al professore una cosa come che se un buttavo un peso in terra quello sarebbe andato in su verso l'etere, lui mi guardò e mi disse: "Signorina, ma è proprio certa che questa sia la sua strada?".

Convenni con lui che NO, non era la mia strada.

Dunque cambiai.

E questa volta decisi che avrei scelto di dedicarmi interamente a ciò che veramente amavo. In barba alla futura precarietà professionale verso cui probabilmente mi sarei avviata, scelsi di iscrivermi alla facoltà di Lettere di Firenze, indirizzo Storico - Artistico. E fu lì che mi innamorai...

....to be continued.