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mercoledì 30 settembre 2015

Bellezza Divina. Chagall, Picasso, Van Gogh, Fontana. Palazzo Strozzi, 24 settembre 2014 - 24 gennaio 2015, Firenze

Le mostre di Palazzo Strozzi difficilmente deludono.
Tutto è sempre molto curato: l'allestimento, le luci, i servizi educativi per le famiglie e le scuole. Addirittura la caffetteria (temporaneamente chiusa per cambio gestione, ma in procinto di riaprire) è un oasi di pace in città: silenziosa, interna al palazzo, dispone di comodi tavolini dove si può sostare, senza sovrapprezzo, a leggere, chiacchierare, riposare bevendo un buon caffè.
Ricordo una volta, quando ci fu la mostra di Picasso, mi pare, in cui l'ex direttore James Bradburne, fra poco direttore dell'Accademia di Brera, visti i tempi lunghissimi per entrare in mostra, offriva da bere a chi era in coda, rendendo più gradevole l'attesa.
Squisito stile anglosassone.
Questa mostra, aperta fino al 24 gennaio 2016, tenta di offrire una panoramica su come gli artisti italiani e non solo, nel secolo scorso, dal 1846 al 1960 circa, si sono rapportati al tema sacro. 
Da Antonio Ciseri, con la sua pala dei Maccabei, in Santa Felicita a Firenze, a Lucio Fontana con le sue ceramiche, dalle quali trapela lo strazio della Via Crucis e della Crocissione; da Vincenzo Vela, con una fanciulla inginocchiata in preghiera, tenera e pudica, a Felice Casorati con una conturbante ed esotica figura femminile dipinta a tempera su fustagno, che a vederla in fotografia non si capisce quanto possano essere meravigliosi gli effetti del colore sulla stoffa; da Libero Andreotti con una Madonna che tiene in piedi un Bambino cicciottello a Adolph Wildt, con una Vergine talmente diafana che pare quasi non avere sostanza.
Queste sono solo alcune delle 108 opere esposte. C'è poi De Carolis, Garbari, Denis, Corcos, Picasso, Van Gogh, Chagall e ancora molti altri.
Si procede per temi, non in ordine cronologico. Di sala in sala, si avanza in mezzo a una variegata molteplicità di personalità, modi di vedere il mondo, stati d'animo.
Ognuno sincero e autentico. Perchè l'arte può essere solo così, sincera e autentica.
E sembra che Papa Paolo VI Martini quella predica che fece agli artisti in Sistina il 7 maggio 1964  l'abbia fatta invece l'altro ieri nel chiostro di Palazzo Strozzi.
Pare che abbia pronuncito qui queste parole: "noi (la Chiesa) dobbiamo lasciare alle vostre voci il canto libero e potente, di cui siete capaci".
Libertà, fantasia, spregiudicatezza, certo, animate da un fervente spirito religioso ma non legate a un canone rigido o a una regola impartita.
E pare che, al sentire queste parole, tutti gli artisti si siano affrettati a seguire questo insegnamento e ognuno abbia voluto dire la sua, in un coro di voci, dalle mille sfumature e toni: alti e bassi, acuti e gravi, piani e forti. Tantissimi e tutti diversi l'uno dall altro ma mai discordi.
Questa è la mostra di Palazzo Strozzi.
Non è facile da spiegare al pubblico.
E' una di quelle mostre che necessitano di poche parole per essere comprese. Necessitano pero' della disponibilità a lasciarsi rapire.
Sabato prossimo organizzo la prima visita guidata organizzata da Lilia alla mostra.
Vi aspetto. Conferma entro domani alle 13.00:333/4897453 oppure liliaartefirenze@gmail.com


Libero Andreotti, Annunciazione Toeplitz, particolare, Galleria d'arte moderna, Firenze, 1931.

giovedì 24 settembre 2015

David Ligare

Firenze, lunedì,  21 settembre 2015

"Pronto, professore?"
"Ah Fiammettina, speravo mi chiamasse!"
"Per le foto dell'articolo, vero? Sì infatti la chiamavo per quelle!"
"Sì, di quelle mi parlerà fra poco. Prima però volevo dirle che alle tre verrà qui da me David Ligare. La aspetto a cinque alle tre per salutarlo. Anzi no: a dieci alle tre. Perché é meglio se sarete voi ad aspettare lui, non il contrario".
Ecco.
Come si fa a dire di no a una proposta del genere?
Non si può dire di no.
Tutto quello che avevi programmato di fare perde di importanza davanti alla prospettiva di incontrare un artista che conosci e che ami da anni.
Lo ami, da quando, una mattina, un giovedì mattina per la precisione, in quell'aula buia, rischiarata solo dal fascio luminoso del proiettore, il professore presentò questa immagine e, come faceva tutti i giovedì mattina per dieci volte, rimase in silenzio. Un silenzio di attesa.
L'immagine era questa:
 David Ligare, Penelope, 1980.

Non ricordo se qualche ardimentoso, riuscì ad attribuirla.
Ricordo che mi colpì questa figura pensosa, scalza e vestita di bianco, seduta davanti all'azzurro terso del cielo e del mare. 
Immensità, infinito, libertà erano le parole che mi venivano in mente mentre la guardavo.
Subito dopo la lezione, andai a cercare altre opere di questo artista che scoprii ancora giovane. Americano, David Ligare, era stato presentato più volte dal professore nel corso delle sue lezioni, con opere che via via che le guardavo mi lasciavano esterrefatta.
La limpidezza geometrica delle forme, il nitore delle linee, i colori tersi, il senso della misura e ad un tempo dell'immenso esercitavano su di me un fascino magnetico.

David Ligare, Symi (Thrown Drapery), 1979.

David Ligare è un artista di fama internazionale. Malgrado questo, con me e con chi era con me, entrambi "giovani" studiosi di storia dell'arte, è stato amabile e generoso nell'insistere affinchè ci intrattenessimo per un po' a parlare con lui e nello spiegarci alcune delle sue opere.
E dal suo pc, fra molte altre, ci ha mostrato questa, che non conoscevo e che ho amato fin da subito: 

David Ligare, Perspectiva, 2000.

Si tratta di una riflessione in merito al momento in cui Brunelleschi, con uno dei suoi marchingegni, si mise davanti alla Cattedrale di Firenze, guardò il Battistero e fu proprio allora che capì che era arrivato il momento di teorizzare le regole della prospettiva.
Come si usava nel Quattrocento, come facevano Domenico Veneziano o Paolo Uccello, qui, nulla è lasciato al caso. Tutto risponde a leggi matematiche ben precise. Ogni elemento è indispensabile al tutto. Canone, regola, misura. Una strada per arrivare al divino. Un divino che si respira in quest'opera. Nel non detto, nell'ineffabile, nell'atmosfera sospesa.

L'ultima opera che David Ligare ci ha mostrato è stata questa:

David Ligare, Sapere Aude, 2015.

Di nuovo, canone, regola, misura. Di nuovo, nulla è lasciato al caso. Le ombre e le luci giocano a rincorrersi le une con le altre in una danza piena di ritmo e armonia. Quelle foglie, chissà per quanto potranno durare. Il fondo nero potrebbe rimandare alla temporalità: ciò che dal nero viene, al nero ritorna. Ma in basso, un cartiglio. 
SAPERE AUDE. Dal latino, OSA SAPERE. 
Una sfida alla caducità delle cose e alla temporalità della vita. 
E noi l'abbiamo presa come un augurio, forse anche un monito. OSA SAPERE. ABBI IL CORAGGIO DI CONOSCERE. Anche se la strada sarà lunga e difficile e il cammino impervio, la via giusta sarà quella della conoscenza.
Dunque, che dire?
Grazie, David Ligare. Speriamo che dopo le due grandi personali di quest'anno a Carmel e a Sacramento, in California, possa esporre presto in Italia.
E grazie, ancora una volta, professore. Che, ancora, dopo tanti anni, come in quell'aula il giovedì mattina, dal buio ci mostra la via della luce. 

***

Le foto le ho tratte dal sito web dell'artista che spero non me ne voglia. E' un sito bellissimo, in cui sono illustrate tutte le sue opere e le sue svariate attività: consultatelo cliccando www.davidligare.com.




mercoledì 23 settembre 2015

Quella notte, a Prato: di mercanti, imperatori, castelli, apparizioni e tante altre storie

Complice una luna splendida e una piacevole brezza settembrina, la serata del 18 settembre a Prato, che avevo anticipato qui è, a mio avviso, perfettamente riuscita.
Credo che occasioni come questa siano una grande opportunità di scambio, di incontro e di condivisione.
Per questo, volendo a ogni costo serbarne memoria, ho scattato qualche foto col mio telefono (che non è malaccio, intendiamoci, sebbene dal mio Pezzetto sia stato più e più volte sbattuto per terra, smangiucchiato, spalmato di banane e marmellate e messo alla prova da ore e ore di Masha e Orso, rigorosamente in russo!).
Però, potrete capirmi, presa come ero da raccontare, parlare, gestire il gruppo, sincronizzarmi con gli attori, le mie foto non erano venute granché.
Poi, ho scoperto proprio la sera stessa, che l'Associazione Marginalia, organizzatrice impeccabile dell'evento, si era premurata di avere un fotografo professionista, Stefano Rosati, che dell'evento ha scattato foto spettacolari, che meglio non potrebbero rendere l'idea della serata.
Stefano e l'Associazione Marginalia, sono stati così gentili da darmi le foto così che io le possa pubblicare e creare una specie di racconto per immagini.
E allora, cominciamo.
Inizio e fine del percorso era la piazza delle Carceri a Prato, luogo magico, di giorno, ma soprattutto di sera.
 Ci siamo incontrati là dove quattro capolavori, creati da diversi ingegni in epoche lontane le une dalle altre dialogano fra loro, si apostrofano, si chiamano e si rispondono così da creare una magnifica e armoniosa melodia: la Chiesa di Santa Maria delle Carceri, costruita da Giuliano da Sangallo a fine Quattrocento (sì, proprio lui: il solo che Lorenzo il Magnifico volle e intensissimamente volle per disegnare il suo gioiello fra i gioielli, la gemma preziosa fra altre 43, il luogo dove poteva ritirarsi e dimenticare tutto e tutti, la villa di Poggio a Caiano);



il castello dell'Imperatore Federico II, avamposto imperiale, costruito alla fine del Duecento per controllare che tutto da quelle parti andasse per il meglio;


la chiesa di San Francesco, duecentesca anch'essa, ma oltremodo restaurata all'inizio del Novecento, con uno di quegli interventi che oggi se uno solo osasse pensarlo gli taglierebbero mani, testa e quant'altro;


e, non in ultimo, uno splendido monumento in marmo, per i caduti della prima guerra mondiale di Antonio Maraini. Sì, proprio lui, padre di Fosco, il famoso sinologo e il nonno di Dacia, l'ancora più famosa scrittrice.


Dopo le presentazioni e i saluti, ci siamo avviati verso la piazza di San Francesco. Davanti alla Chiesa era inevitabile ricordare i pratesi illustri sepolti là dentro: Geminiano Inghirami e Francesco Datini.
Il primo, grande mecenate, raffigurato giacente, sul proprio sepolcro, ma non sul nudo e duro marmo, bensì su una stoffa, sempre in pietra si intende, ma che fa venire voglia di toccarla e di affondarci le mani e il naso per sentirne la consistenza e l'odore;
il secondo, pratese, si trasferì ad Avignone, per poi rientrare a Prato con una moglie e tanti soldi, che, non avendo figli (cioè, di figli ne aveva tanti ma nessuno legittimo), lasciò alla sua città e a dire il vero anche un po' a Firenze, per l'Ospedale degli Innocenti.



A fianco della chiesa, un chiostro, quattrocentesco, non toccato dal pesante restauro, con lastre tombali dal Trecento al Novecento, ancora tutte da studiare. Molti pratesi ricordavano quel chiostro per il meraviglioso presepe meccanico che la gente veniva a visitare da tutta Italia.
Veniva talmente tanta gente che i giorni delle feste non bastavano a esaudire il desiderio di vedere il meraviglioso presepe, che veniva dunque montato in ottobre e smontato dopo l'Epifania.
Poi, non si sa come, in un passaggio di testimone della chiesa dai francescani ai carmelitani il presepe fu perso e i pellegrini, delusi e disillusi, smisero di organizzare viaggi per vedere i  Re Magi fuori stagione.
E qui la prima sorpresa.
Mentre camminavamo, abbiamo sentito partire una melodia e abbiamo visto muoversi qualcosa al centro: intorno al pozzo, come per magia, il presepe era tornato. Con movimenti ritmici ma soavi, tre personaggi ci hanno riportato, per pochi minuti, a quando il chiostro si animava di voci, suoni, luci e personaggi riccamente vestiti, in visita dall'Oriente.







Usciti dal Chiostro, non era pensabile non affacciarsi al Convitto Cicognini, edificio regale, che ha ospitato personaggi illustri a partire da Gabriele D'Annunzio fino a Curzio Malaparte. Fra questi, anche Cesare Guasti. Ma chi era costui? Un signore coltissimo, autore di centinaia di pubblicazioni. E quanto era sapiente, Cesare, tanto era religioso. La sua famiglia lo era. Le sue sorelle erano tutte suore.
E a Prato ci fu un grande scandalo, quando, non si sa come non si sa perché, a un certo punto, il nostro Cesare, decise di scrivere un trattatello che riportava in auge la figura del Savonarola. Sì, proprio lui. Quello che in Piazza Signoria a Firenze obbligava la gente a bruciare quadri con "belle femmine ignude", gioielli, vestiti scollacciati. Quello che non diede l'assoluzione al Magnifico che stava per morire. Quello che poi finì nel rogo, al posto dei suddetti quadri, gioielli e vestiti. Quello che per l'appunto, la Chiesa considerava eretico. E quando a Cesare gli venne questo sghiribizzo di scrivere una cotale aperta difesa del Savonarola, contravvenendo ai dettami della "sua" Chiesa, la sorella suora, l'Enrichetta, manca poco che se ne muore.
E noi l'abbiamo incontrata, questa Enrichetta, disperata, che correva per le vie del centro di Prato, cercando di ripararsi dalle male lingue che le facevano tanto male da rovinarle la salute!





E quando all'Enrichetta le é parso come di svenire, eravamo già al Palazzo Pretorio, antico centro politico cittadino, ora sede di uno stupefacente museo, che conserva la predella di Bernardo Daddi di cui dicevo.



In mezzo alla piazza antistante, Francesco Datini, ritratto a figura intera in una statua imponente, impettito e orgoglioso del suo lascito, ci saluta.
 Generoso, lui, con il suo lavoro e con la sua città, come s'è detto, ma non con sua moglie, quella povera Margherita che passò la vita ad aspettarlo e ad obbedire, a lui che le impartiva ordini via lettera. Si sa, il telefono non c'era. Tanto meno WhattsApp. La poveretta, che non poteva avere figli e che era sempre sola, a un certo punto si decise ad "affigliolare" una dei numerosi figli e figlie che Francesco aveva per il mondo: la Ginevra, che stava sempre con lei, le faceva compagnia e la consolava.
Poi, via, in piazza Duomo. Una cattedrale imponente, modellata tutta intorno a un pezzetto lungo 87 centimetri di lana di capra intessuta con fili d'oro, il pezzo di cintola che si dice la Madonna abbia dato a San Tommaso e che Michele Dagomari abbia portato qui.
Il Politeama, i negozi storici, Palazzo Vai fino ad arrivare di nuovo in piazza delle Carceri.
Lì, c'era Jacopino, un bambino d'una decina d'anni, che su uno dei muri del castello vedeva la Madonna. Il suo babbo non ci credeva. Ma lui aveva ragione, la vedeva per davvero la Madonna. E quando Jacopino riuscì a convincere un po' di gente che quella che vedeva proprio Lei, in quel punto esatto, proprio lì dove appariva, ci costruirono una chiesa, Santa Maria delle Carceri, per l'appunto.




Salutato Jacopino, fiero di aver reso giustizia alla sua visione, i raggi della luna ci hanno scortato fino a una piazzetta dove era stato allestito un piccolo rinfresco con dei dolci che non potevano mancare in una serata come questa: i cantuccini di Prato del Biscottificio Mattei.
Ecco qua, ditemi se non vi sembra sia stata una splendida serata, questa.
Lilia, nella persona di Fiammetta, ha avuto un'imperdibile occasione: quella di venir fotografata mentre racconta le sue storie. Non è scontato eh...a volte costringo mio marito a venire alle mie visite e a farmi qualche scatto. Ma, anche lui, con il telefono, ridotto un po' meglio del mio, ma comunque un po' provato, non può fare molto. Invece, sempre grazie a Stefano, ho l'opportunità di presentarmi anche de visu, così se qualcuno mi vede per caso per strada, può riconoscermi!


Dunque, grazie a Stefano, grazie a Marginalia, grazie alla compagnia teatrale La quinta abbondante per le simpatiche incursioni, grazie a tutti i partecipanti... per me, per Fiammetta, per LILIA, quella di venerdì sera è stata una magnifica occasione!







giovedì 17 settembre 2015

La Sacra Cintola di Prato e una passeggiata particolare

C'era una volta un ricco mercante. Si chiamava Michele Dagomari ed era di Prato, una fiorente cittadina toscana, non troppo lontana da Firenze.
A Prato, oramai mille anni or sono, c'era un castello e una pieve. Anche molto altro, ma certo le dimensioni non erano quelle odierne.
Michele Dagomari si occupava del commercio della lana da più generazioni.
Un giorno, come si usava per coloro ai quali le finanze lo permettevano, decise di andare in pellegrinaggio a Gerusalemme.
Era un viaggio molto lungo.
Al tempo, si sa, non c'erano i voli della Ryanair. Bisognava arrangiarsi coi carri, cavalli e navi, alla bisogna.
Ci voleva molto tempo per arrivare.
Ma Michele poteva permetterselo. Aveva il lavoro, i soldi, ma non ancora una famiglia, una moglie e dei bambini da cui tornare presto la sera.
Dunque, decise di tentare e partire.
E arrivò. Nel 1140.
A Gerusalemme, quasi come un segno divino, incontrò l'amore in una bella fanciulla di nome Maria.
Tanto si innamorò che volle sposarla subito.
Senza dirlo al padre di lei, un sacerdote di rito orientale, che forse non avrebbe voluto.
La sposò di nascosto, alla sola presenza della madre di lei.
Maria, avendo agito senza il consenso del padre, non aveva una dote da portare al marito.
La mamma, complice e preoccupata per questa figlia sposata senza dote a un forestiero, tentò di rimediare e diede a Michele, nascosta in un cestino, una raffinata cintura, lunga quasi un metro, di finissima e verde lana di capra, con qualche filo d'oro a ravvivarla.

Bernardo Daddi, Storie della Sacra Cintola, Museo Civico di Prato, 1337-38.
 
Non sapeva Michele, che la fanciulla che aveva preso in sposa era discendente del sacerdote al quale San Tommaso, prima di andare nelle Indie, aveva affidato quella cintola che la Madonna, in segno di benevolenza, gli aveva porto prima di ascendere al cielo.
Con la bella Maria e con il suo cestino, Michele tornò a Prato.

 Bernardo Daddi, Storie della Sacra Cintola, Museo Civico di Prato, 1337-38.

E non confessò a nessuno di avere un oggetto tanto prezioso.
Forse, temeva che gli avrebbero portato via quel pegno d'amore che sarebbe diventato di tutti e non più solo suo.
Voleva tenerselo vicino, tanto vicino che lo mise in una cassa e su questa casa, tutte le notti andava a dormire.
E gli angeli andavano a sorvegliarlo mentre lui dormiva, racconta la leggenda e racconta Bernardo Daddi in uno degli scomparti di una predella ora al Museo di Palazzo Pretorio di Prato.

 Bernardo Daddi, Storie della Sacra Cintola, Museo Civico di Prato, 1337-38.

Solo quando capì che le forze gli venivano a mancare e che il suo viaggio terreno stava per volgere al termine, andò dal parroco della Pieve di Santo Stefano e gli raccontò la sua storia, affidandogli quel cestino con la cintola.

 Bernardo Daddi, Storie della Sacra Cintola, Museo Civico di Prato, 1337-38.

Di lì a poco, la Pieve di Santo Stefano, dove venne custodita la cintola, divenne una magnifica e imponente cattedrale, il Duomo di Prato, nei secoli ampliato e rimodellato sempre intorno a quel pezzo di finissima lana verde.
Ecco...ditemi se non è questa una storia d'amore.
D'amore per una donna, d'amore per una città, d'amore di Dio.
Questa storia e tante altre racconteremo domani sera, 18 settembre 2015, a Prato, alle 21.00, passeggiando per le vie del centro.
La bella iniziativa è stata organizzata dall' Associazione Culturale Marginalia in collaborazione con la compagnia teatrale La quinta abbondante.
Eh sì...perchè ci sarà una sorpresa: degli attori professionisti, faranno delle "incursioni" nella nostra passeggiata.
Compito mio, di Lilia, come sempre, sarà solo quello di raccontare delle storie.
Percorsi di questo genere sono stati già realizzati dall'Associazione Culturale Marginalia a Firenze, con attori professionisti e con la mia collaborazione: due bellissimi, uno sulla storia delle donne della famiglia Medici e uno sulla vita e l'arte di Michelangelo.
A Prato, almeno per me, è la prima volta.
Dunque, buona fortuna a tutti. E, trattandosi di teatro, mi verrebbe da dire una cosa, ma forse meglio di no: tanta M....!!!!!